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Riflessioni sul 25 novembre ’25

La Consigliera Liana Pausa, referente per le questioni di genere dell’Ordine TSRM e PSTRP delle province di Gorizia Pordenone Trieste Udine, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ha prodotto la seguente riflessione.

E’ sempre più difficile interessare chi ascolta o chi legge oggi Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, argomentando senza creare distinguo, faziosità e reazioni scomposte e spesso pregiudizievoli e in mala fede, fino al sempre più noto e frequente linguaggio d’odio.
Pensare che la Giornata è stata istituita nel 1999 per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema veramente scottante e sempre attuale.
Continuiamo a parlarne molto, a trovare piccole soluzioni a questioni che a me sembrerebbero scontate, come il determinare il consenso femminile imprescindibile per non incorrere in uno stupro.
Allora risaliamo per un momento all’origine della scelta della data: il 25 novembre.
Questa data segna l’inizio dei 16 giorni di attivismo sulla violenza di genere e precede volontariamente quella del 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, promossa nel 1991, quasi si volesse ricordare che la violenza contro le donne è proprio una violazione dei diritti umani.
Ma, ci sono altre date significative? Certo!
Il 1° dicembre è la Giornata mondiale contro l’AIDS.
Il 6 dicembre è l’anniversario del massacro del politecnico di Montreal. Qui, 14 studentesse di ingegneria vennero uccise da un ventiquattrenne che sosteneva di voler combattere il femminismo.
E in Canada la giornata è detta Orange the world perché il colore identificativo è l’arancione.
In molti paesi, come l’Italia, il colore invece è il rosso, ritenuto più incisivo e catalizzante.
L’idea di utilizzare le scarpe rosse viene da un’installazione dell’artista Elina Chauvet ZAPATOS ROJOS realizzata nel 2009 in Messico, per ricordare il femminicidio di sua sorella per mano del marito ma anche per le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez, città di frontiera a nord del Messico e punto nevralgico del mercato della droga e degli esseri umani.
Ricordiamo anche che il 25 novembre 1960, in Repubblica Domenicana vennero rapite, stuprate, torturate, massacrate a bastonate e strozzate, simulando poi un incidente d’auto, le sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal dal dittatore Trujillo, e questo diede lo spunto per indicare proprio questa data.
Quindi forse, le Giornate siano state istituite con un criterio, per dare un segnale e un contenuto comune tra le fragilità del mondo, per estendere il pensiero ai diritti degli esseri umani e seminare il concetto di attenzione alla violenza, alla violenza delle azioni, alla violenza delle definizioni, alla violenza dei pregiudizi, alla violenza delle parole.
Ho già fatto il punto sulle statistiche che riguardano gli atti di violenza ed in particolare quella sulle donne che purtroppo continuano a fornirci numeri allarmanti, in crescita, con costante abbassamento dell’età della persona che compie atti violenti.
Quindi non ne parlerò. Sono piene le cronache, sono pieni i telegiornali, gli approfondimenti, con una forma di giornalismo e di diffusione di particolari e profusione di esperti, modalità di approfondimento dei crimini ormai considerata normale che io reputo invece di interesse smodato, squilibrato, quasi morboso, quindi malsano.
Non vorrei che fosse anche stimolo all’emulazione, ma non sono preparata a trattare questo ulteriore argomento.
Invece vorrei far riflettere chi mi ascolta o legge sulla quantità di implicazioni che ci sono in situazioni violente, sia che si tratti di violenza fisica o sessuale, religiosa, sociale o politica, psicologica, economica per arrivare a quella delle parole online, lo stalking, la violenza digitale.
E quindi vorrei rifletteste su quante persone sono sempre coinvolte in situazioni violente oltre alla donna e al carnefice: figlie e figli se ci sono, famigliari, amici, conoscenti, e via via a cascata, tutte le persone che ruotano attorno alla violenza subendo contraccolpi esperienziali diretti o indiretti che lasceranno un segno indelebile nella loro vita.
La donna o la persona che sopravvive ad una violenza l vive in una situazione di violenza continua, ha il doppio di probabilità di soffrire di depressione, di abusare di alcool o stupefacenti, di avere problemi mentali, di ammalarsi e infine di suicidarsi.
Non fa eccezione la popolazione infantile.

Per questo ho accennato alla Giornata mondiale dei Diritti umani. A pieno titolo, al concetto di libertà e uguaglianza c’è quello di dignità che si sposa con il rispetto, il riconoscimento del valore incontestabile della vita dell’altra persona.
Credo non venga spontaneo di pensare “questa mia parola, questo mio gesto potrebbero ferire o offendere?”
E voglio proprio arrivare alla violenza digitale e al linguaggio d’odio.
Forse perché mi interesso di parole, di comunicazione verbale e non verbale e di relazioni tra le persone, ma il tema mi sembra oggi più che mai fondamentale.
Questa forma di prevaricazione e di violenza, soprattutto sulle donne e sulle ragazze, da parte di individui che si celano spesso in profili falsi, ha le stesse radici culturali della violenza fisica.
Nonostante si mettano in campo direttive europee, la N.1385 del 2024 che dovremo recepire entro il 2027 che ha aggiunto alla violenza fisica, sessuale e psicologica quella economica e quella digitale, nonostante si cerchi di insistere sul consenso da parte della donna nei rapporti sessuali, purtroppo mancano ancora strumenti per realizzare azioni concrete che contrastino questo fenomeno.
Si sono studiati i comportamenti nelle relazioni digitali tra persone giovani e meno giovani e si sono trovati rimedi e soluzioni che però richiedono tutti una azione fondamentale LA PREVENZIONE.
Non possiamo più negare o diluire i pareri delle esperte e degli esperti sia in campo informatico che in quello affettivo-sentimentale.
E’ necessario fornire diffusamente un’educazione digitale, per difendersi e tutelarsi da un lato, ma anche prevenire la violenza sessuale digitale.
Ed è ormai imprescindibile una capillare educazione sessuale e affettiva ed infondere principi etici di rispetto e valorizzazione dell’essere umano e di accettazione e valorizzazione delle diversità.
Quindi urge un piano nazionale integrato che sviluppi sia gli strumenti di analisi dei comportamenti sia la formazione e prevenzione specifica per la realtà digitale, sia in favore delle donne che delle ragazze e bambine.
Pensate che i maschi siano esenti? Pensate che il linguaggio d’odio sia rivolto solo alle donne?
No, purtroppo, ma sul linguaggio d’odio sarebbe il caso di parlare approfonditamente in un’altra occasione.
Oggi, tutte noi donne che svolgiamo una professione sanitaria, quindi più sensibili alla fragilità, alla marginalità, alle difficoltà quotidiane della vita, solidaristicamente, per una volta, idealmente, uniamoci nel principio della sorellanza e miglioriamo la nostra percezione delle debolezze delle altre donne, abbracciamole e ascoltiamo meglio e di più i ragli della superficialità, della sottovalutazione, della svalutazione di quella propaganda e radice patriarcale che accomuna tante persone che non vogliono più parlare per capire, ascoltare per immedesimarsi, agire per cambiare la realtà.
Vi lascio con una riflessione di Dale Spender, per chi non la conoscesse è una scrittrice e anglista australiana, cofondatrice del database di Wikipedia, Women’s International Knowledge Encyclopedia and Data, editrice e, tra le altre cose, coinvolta nel “Second Chance Program” che contrasta la condizione delle donne senzatetto in Australia, che scrisse nel suo libro “Man made Language”: “Il Femminismo non ha combattuto guerre. Non ha ucciso oppositori. Non ha attrezzato campi di sterminio, affamato nemici, praticato crudeltà. Le sue battaglie sono state per l’istruzione, per il voto, per migliori condizioni di lavoro, per la sicurezza sulle strade, per la cura dell’infanzia, per il benessere sociale, per i centri di intervento contro lo stupro, per i rifugi delle donne, per le riforme legali.
Se qualcuno mi dice “oh, io non sono femminista!”, io chiedo “Perché? Qual è il tuo problema?”

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